Crepet: meglio liberi nel bosco che prigionieri dei cellulari

24.11.2025

Il caso della famiglia Birmingham-Trevallion, che ha scelto di vivere nei boschi di Palmoli senza elettricitàscuola tradizionale, ha suscitato un dibattito acceso e complesso. La decisione del tribunale dei minori dell'Aquila di sospendere la potestà genitoriale e trasferire i bambini in una casa famiglia ha sollevato interrogativi profondi sul rapporto tra libertà educativa, tutela dei minori e modelli di vita alternativi

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Lo psichiatra e saggista Paolo Crepet ha lanciato una provocazione che colpisce nel segno: «Fatemi capire: i genitori che passano tutto il giorno sui social ignorando i figli vanno bene, mentre chi vive libero nei boschi no?». Una domanda che smaschera l'ipocrisia di una società che tollera l'alienazione digitale ma guarda con sospetto chi sceglie di crescere i figli a contatto con la natura.

Il trauma dell'allontanamento

Crepet sottolinea come l'allontanamento dei bambini dai genitori rappresenti un trauma enorme: «Essere allontanati dai genitori è un taglio che rischia di lasciare una cicatrice per tutta la vita». La questione, dunque, non è se crescere in un bosco sia meglio o peggio che crescere in città, ma quale sia la qualità della relazione affettiva ed educativa che i genitori riescono a garantire.

Natura contro alienazione digitale

Viviamo in un'epoca in cui molti bambini crescono davanti agli schermi, con genitori distratti da smartphone e social network. Crepet invita a riflettere: «Quelli che criticano i genitori hanno figli che stanno molto peggio, pur vivendo in mezzo a tutti». È un paradosso che mette in luce come la vicinanza fisica alla società non garantisca automaticamente benessere, attenzione o amore.

Il compromesso necessario

Lo psichiatra non nega l'importanza della scuola, che resta un obbligo imprescindibile. «La scuola è obbligatoria e questo lo devono capire i due genitori: non si può pensare che la vita sia rimanere vent'anni dentro casa, per quanto sia bella la natura intorno», afferma. Ma il punto centrale resta la necessità di un equilibrio: garantire istruzione e salute senza demonizzare chi sceglie un modello di vita diverso.

Una riflessione per tutti

Il caso di Palmoli non riguarda solo una famiglia, ma l'intera società. È un invito a chiederci se davvero i nostri figli siano più tutelati quando crescono immersi nella tecnologia, con genitori assenti e distratti, piuttosto che in un bosco, circondati da natura e libertà. Forse la vera sfida non è giudicare chi vive fuori dagli schemi, ma imparare a dare più valore alla relazione affettiva, al tempo condiviso e alla presenza reale.

In fondo, come suggerisce Crepet, meglio un bambino che corre libero tra gli alberi che uno abbandonato davanti a un tablet, mentre i genitori scrollano senza fine sui social.

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